Luglio 27, 2024

Presentazione al Tempio di Andrea Mantegna a cura di Alessio Fucile Storico dell’arte

Ti presento la «Presentazione al Tempio» di Andrea Mantegna, opera realizzata nell’arco del 1454 e conservata nella Gemaldegalerie di Berlino.

Il giovane artista dà al dipinto un’impostazione originale e quasi geometrica, avvicinando i vari protagonisti allo spettatore come se fossero affacciati a un davanzale: secondo lo stile tipico del Mantegna, le figure sembrano quasi scolpite con la pittura, così come sarà caratteristico per l’opera di Michelangelo Buonarroti. Agli estremi appaiono due figure prive di aureola, dunque persone viventi all’epoca della realizzazione dell’opera: a destra è l’autoritratto dello stesso pittore e a sinistra di sua moglie, Nicolosia Bellini, figlia di Jacopo e sorella di Giovanni, anche loro celebri artisti; Andrea e Nicolosia si erano sposati l’anno precedente.

Nella sua opera, il pittore evoca il celebre episodio narrato nel Vangelo di Luca in cui l’anziano Simeone, che è qui colto mentre riconsegna il piccolo Gesù alla madre, dice a quest’ultima: «Ecco, egli è qui per la caduta e la resurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l’anima». Queste parole lasciano sul volto dei presenti un velo di tristezza e smarrimento, ben visibile in quanto Mantegna riesce ad affidare l’altissima tensione psicologica all’intensità degli sguardi dei vari personaggi e ad inserire nel quadro il mondo degli affetti più intimi: al centro, Giuseppe ha il volto accigliato e sconvolto per la profezia appena udita; le parole di Simeone colpiscono in modo particolare Maria, rappresentata come una giovane ragazza con lo sguardo perso nel vuoto mentre stringe il figlio in un gesto istintivo di protezione. Il bambino, che a stento trattiene il pianto, è rappresentato avvolto in fasce come si faceva all’epoca e con i piedi appoggiati su un cuscino: le fasce rimandano allusivamente a quelle in cui sarà avvolto il corpo di Gesù nel sepolcro dopo la sua morte.

Le vesti vellutate di Maria e Simeone, decorate da motivi floreali e arabeschi, rimandano a quelle che si producevano nella Venezia dell’epoca ed erano segno dello sfarzo raggiunto dalla città lagunare, anche grazie ai suoi continui scambi e commerci con l’Oriente; la scelta di vestire i personaggi secondo la moda veneta del Quattrocento è una conferma del messaggio che il dipinto vuole trasmettere: nel racconto evangelico ci siamo anche noi.

Ciononostante, lo sfondo scuro suggerisce un senso di tristezza e drammaticità della scena: il pittore guarda verso di essa, mentre la moglie si rifiuta e volge lo sguardo altrove, esprimendo con il suo atteggiamento tutta la fatica che l’uomo spesso incontra nell’accettare il dolore. A volte, l’istinto ci porta a voler rivolgere lo sguardo altrove per non lasciarci coinvolgere nelle emozioni più dolorose, ma non sempre questo atteggiamento è la scelta migliore, alimentando esso l’egoismo che spinge poi all’indifferenza e a chiudersi sempre più in se stessi, negando alla fine ciò che è l’essenza umana. Ciò che rende felice e realizza l’uomo è invece l’apertura e il prendersi cura di chi gli sta accanto: la gioia è di coloro che donano, o ancora meglio, di coloro che si donano! Come diceva Seneca: «Chiunque fa del bene a un altro lo fa anche a se stesso».

La scena evangelica è il primo annuncio della croce che si prospetta nel cammino di Gesù. Questo bambino nasce con una missione precisa: dare la sua vita per la salvezza di ogni uomo!

Grazie per la tua attenzione.